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lunedì 26 aprile 2010

Dio perdona, noi difficilmente

Pochi minuti, poche battute per rispondere al peccatore che la interpella, costretta a scegliere, in nome della stessa Verità, se essere madre amorevole o severa matrigna.

(Ilaria Donatio, I ricatti della fede dietro la grata del confessionale, L'unità, 21 aprile 2010, pag. 28)

Così si conclude l'inchiesta. Confesso che mi è dispiaciuto leggerla.
Dispiace l'abuso di una cosa per me, per le persone come me, così importante. Un sacramento. Ma si sà: come la politica, l'economia e a volte la stessa religione anche la stampa, con il grimaldello del dovere di cronaca, non si ferma davanti al rispetto. Per sapere cosa pensano i sacerdoti sulla condizione di omosessualità non si passa attraverso un'onesta intervista a loro o a persone credenti che la vivono, con sofferenza, all'interno della Chiesa. Credo che il risultato, nel contenuto, sarebbe stato molto simile. Forse sarebbe mancato il gusto contemporaneo dell'andare oltre i meccanismi convenzionali, della trasgressione delle regole, della menzogna e del tradimento, dello spionaggio spirituale...
Questo è ciò che penso del metodo.
Ora, sul contenuto: l'attore della riconciliazione è Dio.
È Lui a perdonare, non la Chiesa, che semplicemente amministra.
Le opinioni dei sacerdoti oggetto dell'inchiesta possono pur esser differenti ma, nell'ottica della Chesa che si vuole criticare ma che in realtà non si conosce così bene per farlo efficacemente, il risultato della confessione è sempre lo stesso: l'abbraccio del Padre misericordioso, il suo "Fa niente... Ti voglio bene". Di ciò però tra le righe del giornale non c'è traccia. L'assoluzione è appena un accenno. Ma non è forse quella lo "spiraglio" che l'autrice cercava nel suo finto "viaggio penitente"? Più che uno spiraglio io lo definirei uno squarcio. C'è ampiamente, invece, il giudizio morale su una Chiesa che invece ben poco - per fortuna? - può fare in quel contesto: semmai quei sacerdoti avrebbero potuto percepire che non c'era sincero pentimento, ma simulazione, e non impartire quindi l'assoluzione. O forse, nel dubbio, sono stati troppo buoni? A di là delle loro opinioni, imperfette e imperfettibili, di quelle delle Chiesa, una cosa mi pare certa, se ben interpreto l'azione interiore della giornalista e a dire la verità anche la mia, quando mi ergo (come adesso) a giudice dei miei "fratelli": Dio perdona, noi difficilmente.

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